G. Bezzuoli, Follia che guida il carro d'Amore
Franco BASAGLIA, psichiatra, promotore della Legge 180/78 che sancì la chiusura dei manicomi, regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio e determinò la creazione i servizi di igiene mentale pubblici.
A Ludovico Ariosto dobbiamo una delle più intense e ricche descrizioni letterarie della Follia: la Follia d'Amore.
Orlando, protagonista dello scritto, impavido, irreprensibile e primo cavaliere della stimata corte di Francia, nonchè nipote del grande Carlo Magno, perde il lume della ragione per una donna... Angelica.
Si deve, tuttavia, sottolineare che l'elemento scatenante della follia d'Orlando è la gelosia: egli non sopporta che la "sua" Angelica possa essere posseduta da qualcuno che non sia lui.
L'equilibrio di Orlando si spezza quando legge:
"108- Liete piante, verdi erbe, limpide acque,
spelunca opaca e di fredde ombre grata,
dove la bella Angelica che nacque
di Galafron, da molti invano amata,
spesso ne le mie braccia nuda giacque;
de la commodità che qui m'è data,
io povero Medor ricompensarvi
d'altro non posso, che d'ognor lodarvi".
Angelica, in realtà, non ha mai corrisposto Orlando e per tutta l'opera lo rifugge. Finirà con l'innamorarsi di un fante. Quel Medoro che, nella caverna, scrive - come appena citato - di aver posseduto la bella principessa del Catai.
Quella descritta da Ariosto è una follia distruttiva, è vero.
Orlando folle sradica alberi, si strappa i vestiti, urla e vaga, incapace di accettare la scelta di Angelica.
Ma, come tutte le follie, anche quella di Orlando deriva dalla rabbia... e, infatti, il saggio Ludovico, intitolò l'opera Orlando furioso.
" Pel bosco errò tutta la notte il conte;
e allo spuntar de la diurna fiamma
lo tornò il suo destin sopra la fonte
dove Medoro isculse l'epigramma.
Veder l'ingiuria sua scritta nel monte
l'accese sì, ch'in lui non restò dramma
che non fosse odio, rabbia, ira e furore;
né più indugiò, che trasse il brando fuore.
Tagliò lo scritto e 'l sasso, e sin al cielo
a volo alzar fe' le minute schegge.
Infelice quell'antro, ed ogni stelo
in cui Medoro e Angelica si legge!
Così restar quel dì, ch'ombra né gielo
a pastor mai non daran più, né a gregge:
e quella fonte, già si chiara e pura,
da cotanta ira fu poco sicura;"
Orlando Furioso, 23, 129-130