IL LIBRO

IL LIBRO
DELLA FILOSOFIA E DEI GATTI - SGARBI F. (MURSIA)

mercoledì 29 luglio 2009

QUEL "NON UCCIDERE" PER CHI VALE?


Non importa che siate atei o credenti: quella che segue è una questione interessante, indipendentemente dalla posizione religiosa.
Leggete, se vi va...


"Mi sono chiesta se il comandamento di non uccidere nella sua sintetica enunciazione si riferisca solo agli uomini oppure comprenda anche gli animali. " Angela B.


Risponde Padre Luigi Lorenzetti:

«Non uccidere» è il comandamento che Dio, tramite Mosè, ha dato a Israele. Gesù, il nuovo legislatore, lo porta oltre l’originaria definizione: «Avete inteso che fu detto: “Non uccidere”… Ma io vi dico…» di non odiare, di non offendere, di amare e perdonare. Il comandamento è posto nell’orizzonte dell’amore, che include e supera la giustizia, e raggiunge il vertice nel mistero del Golgota. È impossibile giustificare, in nome del Vangelo, l’uccisione e la violenza dell’uomo sull’uomo. La violenza non trova alcuna legittimazione morale, non può dirsi mai giusta.

È sostenibile l’interpretazione tradizionale che limita il comandamento di non uccidere ai soli esseri umani? Il comandamento, nella sua dizione sintetica, non esclude gli animali. Infatti, dice: «non uccidere» anziché, «non commettere omicidio». In ogni caso, la comprensione della creazione e del suo futuro ultimo conduce a estendere il comandamento anche agli animali. L’universo (e tutte le sue creature) è affidato all’uomo, perché lo custodisca e lo porti a compimento secondo il disegno di Dio. Certamente le creature sono utili all’uomo ma, prima ancora, sono bellezza e valore per sé stesse e dicono appartenenza al creatore che le ha create.

Non giova molto discutere se gli animali hanno diritti, è certo che l’uomo ha dei doveri e delle responsabilità: non ha il potere di creare la loro vita, non ha il potere di toglierla. Inoltre, nel disegno di Dio, la creazione è orientata verso «nuovi cieli e terra nuova». Le realtà ultime non riguardano la comunità degli uomini, ma anche l’universo. Alcuni passaggi della Scrittura parlano di un futuro dove tutte le creature vivranno insieme in pace, e dell’attesa di un compimento definitivo che coinvolge l’universo. Non sappiamo come ciò accadrà, ma trasformazione non vuol dire distruzione.

Tutto questo è più che sufficiente perché l’uomo rispetti la terra, il cielo e tutti i suoi abitanti. Su tali basi si può comprendere che la questione ecologica in generale, e quella animalista in particolare, non sono estranee al messaggio che la Chiesa è chiamata a trasmettere: annunciare il progetto di Dio sul creato e su tutte le creature; denunciare la mentalità e i comportamenti che lo trasgrediscono e ostacolano.

I casi sono innumerevoli e, tra questi, il deplorevole abbandono degli animali, la sperimentazione cosiddetta scientifica che mutila e uccide, l’industria della pellicceria che serve solo alla vanità, la caccia per sport, l’allevamento in batteria e i mattatoi. Non è che tutti devono diventare vegetariani per forza, ma è doveroso per tutti coglierne il messaggio: «perché l’animale viva».

Non uccidere è doveroso, ma non basta. È necessaria una conversione, individuale e collettiva, a una nuova mentalità. Segnali in questa direzione non mancano e fanno sperare che, in futuro, i cattolici non avranno bisogno di ricorrere ad altre culture o religioni per coltivare un corretto e pacifico rapporto con gli animali. Onorare Dio significa anche onorare le sue creature."



martedì 28 luglio 2009

CHI ULULA ALLA LUNA... la leggenda della Luna piena


In una calda notte di luglio di tanto tempo fa un lupo, seduto sulla cima di un monte, ululava a più non posso.

In cielo splendeva una sottile falce di luna che ogni tanto giocava a nascondersi dietro soffici trine di nuvole, o danzava tra esse, armoniosa e lieve.

Gli ululati del lupo erano lunghi, ripetuti, disperati.

In breve, arrivarono fino all’argentea regina della notte che, alquanto infastidita da tutto quel baccano, gli chiese:

- Cos’hai da urlare tanto? Perché non la smetti almeno per un po’?-

- Ho perso uno dei miei figli, il lupacchiotto più piccolo della mia cucciolata. Sono disperato… aiutami! - rispose il lupo.

La luna, allora, cominciò lentamente a gonfiarsi.

E si gonfiò, si gonfiò, si gonfiò, fino a diventare una grossa, luminosissima palla.

- Guarda se riesci ora a ritrovare il tuo lupacchiotto - disse, dolcemente partecipe, al lupo in pena.

Il piccolo fu trovato, tremante di freddo e di paura, sull’orlo di un precipizio.

Con un gran balzo il padre afferrò il figlio, lo strinse forte forte a sé e, felice ed emozionato, ma non senza aver mille e mille volte ringraziato la luna.

Poi sparì tra il folto della vegetazione.

Per premiare la bontà della luna, le fate dei boschi le fecero un bellissimo regalo: ogni trenta giorni può ridiventare tonda, grossa, luminosa, e i cuccioli del mondo intero, alzando nella notte gli occhi al cielo, possono ammirarla in tutto il suo splendore.

I lupi lo sanno… E ululano festosi alla luna piena.